Raccontarsi per costruire un’intimità di cura

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raccontarsi-intIl desiderio di analizzare gli altri può essere molto forte, e nascondere un sotteso bisogno di controllo e voglia di esercitare un potere. Anche quando è a fin di bene non perde, infatti, la sua caratteristica di possesso.
Però “analizzare gli altri” può significare anche prendersene cura e tentare di comprenderli, e quindi per far in modo che la parte “buona” prevalga, e non venga soffocata, dalla parte “cattiva”, è essenziale che la medesima analisi venga indirizzata nei confronti di se stessi.
Solo in questo modo, ritrovandoci cioè nei panni dell’altro, si può comprendere sulla propria pelle, quale sia il significato (e il peso) di “ripercorrere se stessi”.
Nel momento in cui ci si mette nei panni dell’altro, si può capire quanto una bassa autostima, e una continua sottovalutazione delle proprie risorse, possono essere causa di un “affidamento maldestro in mani altrui”.

Si deve arrivare a toccare con mano, dentro di sé, la propria inconoscibilità, il proprio “essere un enigma”, per poter amare lo sconosciuto che si trova davanti a noi, e che a noi sta chiedendo aiuto. Solo così si può mettere in ombra il bisogno di “spiegazioni”, portando alla luce la voglia di “provare a comprendere”.
Con questo atteggiamento si possono evitare, e mettere a tacere, tutte le “facili etichette” e le “categorizzazioni disumanizzanti”, che solo in apparenza aiutano chi cura, ma che nella realtà finiscono per chiuderlo in un vicolo cieco, privo di alternative e creatività.
Quel mondo privo di “mancanza di alternative e creatività” che con molta probabilità, chi chiede aiuto, ha purtroppo sperimentato in passato, lungo la strada della propria esistenza.

Affrontare lo “sconosciuto” dell’altro (ciò che non riusciamo ad afferrare e che sfugge), è possibile solo andando incontro ai nostri sentimenti, cercando di comprenderci e avendo il coraggio di chiedere ad un gruppo (di cui ci fidiamo) cosa pensa di noi, e come ci vedono.
Solo partendo da noi, dai nostri sentimenti, emozioni e vissuti, si può costruire un legame intimo con l’altro.
Solo ponendoci continuamente interrogativi che abbiano come punto di partenza noi stessi, si possono aprire le porte allo “sconosciuto”, ed agli elementi di “meraviglia” che esso porta inevitabilmente con sé.

È nel rivolgerci a noi stessi, nel momento che ci sentiamo persi e confusi, che possiamo ritrovare il sentiero dove aiutare l’altro, recuperando risorse e capacità che credevamo svanite.

Bisogna pensarsi come qualcuno che abita la propria interiorità, per poter accedere all’interiorità dell’altro, fino a costruire un’intimità comune e condivisa.
Fino a fare dell’ascolto di sé, e di chi si ha davanti, pratica quotidiana, mai scontata o banale, perché sempre luogo di incognite, gradite anche quando scomode (perché essenziali).

Francesco Urbani

Questo articolo è collegato al ciclo di incontri “Gruppo di Supervisione con la Scrittura”, segui questo LINK per maggiori informazioni.

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