Tra i margini di Sé e i margini della città. Nella periferia dell’Io e della paura dell’Altro

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La rigidità, la scarsa fluidità o addirittura l’assenza di pensiero, sono sempre in correlazione con l’idea che esista un’identità che è “identità di principio”.
Si dovrebbe invece pensare all’identità come una costruzione, qualcosa da sempre ha a che fare con una “mancanza”.
Qualcosa che quindi guarda in avanti e non indietro.
L’identità non deve essere pensata come un luogo del passato, a cui tornare e che quindi è rassicurante. Questa non è identità, è il bisogno di regredire ad uno stadio precedente e già conosciuto, che rassicuri e che però non permette nessuna crescita.
Anzi, essendo regressivo e statico rischia di essere, sul lungo tempo, mortifero.

L’identità, proprio per le sue caratteristiche di dinamicità e di progettualità, gettando sempre lo sguardo al futuro, si basa su un “disturbo” che è motore di esplorazione e creatività.
L’indentità in questi termini diventa un problema in continuo divenire, e che essendo “crescita permanente”, si realizza come compito che non termina mai, ma che obbliga l’essere umano ad una ricerca di soluzioni continue.

In questa prospettiva, la diversità diventa fonte di ricchezza perché nutre la creatività e l’elasticità, di nuove riflessioni. Essendo terreno di crescita per pensieri in precedenza non-conosciuti.

Il gioco, nel momento in cui si decide di non “eliminare” l’Altro (che è in noi o è fuori di noi) sta nel percepire la “differenza” non come “distinzione”, ma come una “distanza” da attraversare.
La diversità allora non più un fattore “immobile” in cui si risiede, ma luogo in cui potersi “spostare”. Potenzialità di infinite possibilità e prospettive.

Muoversi con l’altro, non pensando in termini di “distinzione” ma bensì di “distanza”, riporta la questione all’interno di confini dinamici, e permette quel movimento che porta allo “spostamento” di visioni.
Questo genera uno “spazio aperto” e non chiuso, che è vitale e che può far evitare la possibilità di porsi, rispetto alla diversità, in posizione “alto o basso”.
Il movimento tutela la simmetria e conseguentemente il riconoscimento reciproco.
L’uomo è in relazione con l’Altro, e anzi parte proprio dall’Altro, creando una situazione di interazione che produce nuove conoscenze.
Si evita, in tal modo, una visione unicamente “descrittiva” che è intrise di differenze non-contattabili, e ci si muove invece in una visione dinamica.
È questa dinamica, fatta di movimenti tra l’Io e l’Altro, che porta alla riflessività e al pensiero, e che quindi apre a nuove risposte (e quindi a nuove successive domande) rispetto all’identità. La quale è sempre percorso, e non può mai essere raggiunta in modo definitivo.

Dalla tensione che si genera dalla differenza tra quel che si conosce e quel che si ignora, nasce un pensiero e una ricchezza, che sarebbe impossibile da avere se si eliminasse la diversità.

L’eliminazione, o l’allontanamento dell’Altro, fornisce un senso di apparente sicurezza che si basa su una assenza di pensiero, e quindi su uno stato di morte clinica (emotiva e intellettuale).

Giocare con la differenza, pensabile come luogo in cui muoversi, significa uscire dalle logiche dell’ordinario. Significa uscire dalla comfort-zone (con se stessi e con l’Altro) e stare nell’inconsueto, accettando il rischio che risiede nell’accogliere quel che non ci si aspetta, e ciò che non è convenzionale.
È qui che l’identità significa saper accettare sempre la novità.
Significa saper rompere il quadro di riferimento che si ha, per andare incontro ad un altro quadro, che andrà nel tempo superato anch’esso.

Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it

Immagine dal sito “Lettera43” www.lettera43.it
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