Il luogo e l’identità#4 – stare in un percorso

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“La passione è la creatività dell’esistenza,

ciò che ci permette di reinventare le nostre vite”

Hélène Grimaud

nonluoghi int2Lo spazio per essere vissuto, per essere affettivamente connotato deve essere “esistenziale” per dirla con Merleau-Ponty, deve cioè essere luogo di esperienze relazionali, dove ci sia un continuo scambio positivo e proficuo con il mondo, e dove l’individuo possa sentirsi come elemento situato in rapporto con l’ambiente.
In questa prospettiva il luogo deve essere animato, nel senso che non deve dare indicazioni sulla sua interpretazione e lettura, ma nella sua leggibilità deve essere scoperto dall’uomo, che deve scoprirlo con gli occhi della propria memoria emotiva, della propria storia… e quindi non deve essere un uomo direzionato, ma deve essere un uomo libero ed esploratore…
E per riuscire in questo fondamentale obiettivo è di assoluta necessita che nel luogo si parli, di effettuino discorsi, ma non unicamente con il linguaggio “parola”, ma con il linguaggio della narrazione. Una narrazione che rispetti gli interlocutori e ne rispetti le caratteristiche, la storia, gli “ideali” e le ambizioni.
Un luogo che proponga narrazioni ma che prima ancora sappia essere “casa del narrato e del narrare”.
Praticare ed usare questo spazio significa, per dirla con le parole di Marcel de Certau “ripetere l’esperienza esaltante e silenziosa dell’infanzia: nel luogo si è altro e si passa all’altro”, solo in uno spazio cosi inteso può avvenire l’esperienza del riconoscimento di sé in quanto sé e in quanto altro… qui i racconti “attraversano” e “organizzano” il luogo stesso.
Il rischio altrimenti è di creare luoghi che non siano da interpretare e da leggere, in cui non esiste alcuna narrazione perché sono preda dell’eccesso e della iperstimolazione, luoghi dove domina lo spostamento continuo e veloce dello sguardo, dove avviene il sistematico svuotamento della coscienza che non riesce più a filtrare le informazioni.
Il risultato è che l’individuo arrivi a sperimentare un senso di completa solitudine rispetto alla realtà circostante, che non trovi più un “metro di misura” condiviso ma che sia costretto a costruirlo (non come libertà personale), ma come solitudine che cerca di sopravvivere alla sopraffazione del troppo-senso (dell’eccesso)…
E’ qui che dobbiamo pensare ad un luogo, ad uno spazio, che permetta all’individuo di poter stare, di poter essere e di poter manifestare (e ascoltare) le proprie emozioni e sentimenti. Un luogo che non sia di transito, che non sia di passaggio, ma che sappia diventare una casa in cui poter non solo trovare, ma anche sperimentare che sappia accudire, accogliere, alimentare le passioni reali della persona, umana e non ipertecnologica.
Che l’essere umano diventi il viaggiatore del luogo, e non passeggero-turista che legge la guida e passivamente osserva ciò che gli viene detto di osservare, quello che qualcun altro (per suo conto) ha deciso essere importante… quello che va creato, in alternativa a certa contemporaneità è un luogo che permetta di viaggiare, che permetta di essere l’esploratore del mondo (interno – esterno – relazionale – corporeo)

Va soprattutto notato che se il luogo non è capace di corrispondere a questi obiettivi, rischia di collocare i suoi “frequentatori” in un non-luogo dove si sta solo in una relazione contrattuale, dove l’identità non è più frutto della propria storia e della propria immaginazione del futuro, ma è solo costituita dai codici e dalle regole… quindi dalla solitudine, perché ciò che ne consegue, in un luogo che non sa essere affettivamente caratterizzato, è che ognuno è solo nella misura in cui assomiglia all’altro… (fare come gli altri per essere se stessi… una regola assai triste!)… e questo misto di solitudine e similitudine non fa altro che creare conformità, uniformità, invece che creatività, speranza e passione… oltre che individui…

Francesco Urbani

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