Il Risentimento come emozione sociale

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risentimento_1In questa prospettiva non si intende il risentimento unicamente sotto l’aspetto psicologico, ma come vera e propria disposizione “attiva” e “sociale”, in cui una persona sente di aver subito una umiliazione, che viene percepita come evidente, addirittura prima che essa avvenga realmente.
È quindi in quel preciso spazio che si crea, tra uguaglianza e libertà (valori fondanti la nostra società), questo sentimento.
Vi sono diversi atteggiamenti che possono favorire la nascita del risentimento e dei comportamenti ad essi necessariamente collegati.
Un primo atteggiamento può essere quello definito del “solitario”. In queste persone il sentimento di solitudine e di incomprensione, da parte del mondo, sono il risultato di un risentimento verso la società, che viene (neanche troppo patentemente) accusata di non essere accogliente rispetto i propri “desideri individuali”.
Tale atteggiamento è in relazione con l’illusione di poter vivere in solitudine, in modo da non dover accettare il “dialogo” con le “miserie del mondo”. Ed è proprio nel rifiuto di questo dialogo che si trova ad abitare la fantasia di poter preservare la propria idea di grandezza, senza tenere però in conto l’aspettativa che sia proprio la società a riconoscere un ruolo di prestigio.
Con il paradosso però che questo prestigio non può mai essere reso sociale e pubblico.
Tutto questo crea un corto circuito difficilmente risolvibile, per cui il “solitario”, vuole essere riconosciuto dalla società, da cui lui stesso si esclude, ma si trova ugualmente costretto a perdere la propria solitudine, a causa del “risentimento” che lo avvolge completamente.
Si nega il desiderio di essere desiderati dall’altro.

Un’altra tipologia è poi “l’anticonformista”, il quale si rifiuta di riconoscere all’altro il ruolo di modello, che invece segretamente gli riconosce, e che lo trasforma inevitabilmente in “ostacolo”. Ma proprio a causa di questa trasformazione si alimenta in lui il rivale, anzi “ogni altro” diventa un potenziale rivale, umiliante e offensivo, che induce ulteriore risentimento.
Si viene a creare un circolo perverso, che difficilmente potrà essere mutato, per cui il risentimento, che fa percepire l’altro come rivale (dato che gli si nega il ruolo di modello) è fonte di ulteriore risentimento e rivalità.

Un ulteriore caso è quello dell’ “anoressia”, che può essere, tra gli altri molteplici livelli e prospettive, anche interpretato come un atteggiamento di rinuncia e sacrificio, all’interno di una modernità molto ricca e prosperosa.
La rinuncia qui viene inserita nell’ambito di un contesto individualista e competitivo.
Rispetto al pensare l’anoressia come “tragico principio estetico”, siamo davanti al trionfo del minimalismo e alla ricerca del “troppo di meno”.
Nell’ambito di una società satura di competitività, l’anoressia, con il suo principio di rinuncia, preferisce l’annullamento di sé alla rivalità con l’altro.
Ed in questa dinamica relazionale, il risentimento è una delle forme di energia principale, perché tramite esso avviene la negazione della presenza dell’altro.

All’interno di quel vasto mondo che è il “risentimento”, il desiderio è uno degli aspetti dominanti, che intrappolano l’individuo in un odio interminabile verso l’altro, che è sempre percepito come scomodo, invadente e nemico.
Risulta particolarmente problematico uscire da questo labirinto creato dal desiderio, dove sull’essere umano si scaglia il “sentire che si dovrebbe essere come l’altro vuole”.
Tutto questo implica un campo in cui non ci si accorge che le rivendicazioni (per il torto subito, o per l’uguaglianza negata) sono unicamente espressione del risentimento, e del desiderio di vendetta che non accetta la presenza dell’altro, percepito come eccessivamente vicino.

Francesco Urbani

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