Note sul gioco nella terapia con l’adulto

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Saper e voler giocare è fondamentale per il terapeuta, che accoglie nel proprio studio il paziente, il quale sin dall’inizio porta con sé timori e preoccupazioni in riferimento all’incontro.
C’è però sempre da ricordare che ognuno, già dall’inizio ha con sé, sempre (anche solo in minima parte) la speranza che l’altro l’aiuti e che si possa riporre fiducia in lui.

E’ partendo da questi punti che si devono creare le giuste condizioni affinché il paziente senta di poter “esplorare” (fuori e dentro di sé). E tali presupposti nascono anche dalla strutturazione di un setting chiaro, definito e condiviso, oltre che da una relazione autentica e aperta.

Già da questo momento, quindi, possiamo dire che vi deve essere una sovrapposizione, delle aree di gioco tra paziente e terapeuta, e se questo non dovesse accadere, per esempio a causa di un’inibizione del paziente al gioco, il terapeuta deve mantenere per entrambi questa capacità.
E ciò in quanto l’altro non si fida ancora, a sufficienza, dell’ambiente. Aspetto essenziale e condizione indispensabile per la capacità di giocare.

Il terapeuta deve saper giocare ed essere sempre disposto a farlo.

E’ importante delimitare cosa si intenda per gioco, che non deve mai essere inteso come una tecnica dalle rigide regole, perché è invece sempre connesso al piacere. D’altronde è qui che la simbolizzazione permette il godimento di ciò che si ama e un nuovo dialogo con ciò che è odiato.
Il gioco, con le sue continue identificazioni, è sempre un atto di crescita creativa e di espressione svolta all’interno di un ambiente libero, ma ben delimitato.
E’ questo che lo rende uno spazio “altro” dove poter esercitare un “contatto sicuro” con la realtà esterna. Dove è possibile far convivere le proprie ambivalenze, la propria aggressività ma anche l’amore, la passione e il bisogno dell’altro.
Forme riparative e di socialità arricchiscono, tramite la condivisione, le relazioni, le quali vengono così amplificate e rese complesse.

Nella stanza, il gioco deve essere facilitato dalla spontaneità del terapeuta, che potrà così non far sentire il paziente in posizione di inferiorità, ma anzi legittimato all’autenticità, alla libertà e alla leggerezza.

Il gioco, inoltre, si muove sempre su molteplici livelli, ma è fondamentale all’inizio dare spazio a quelli più di superficie, per arrivare poi successivamente agli aspetti più profondi.
Vanno valorizzati gli “elementi impulsivi” nell’ambito dei limiti e delle regole del gioco, che ne formano uno spazio contenuto, codificato e condiviso.

In ogni gioco saranno poi evidenti ed emergenti, aspetti armonici (integrati) e caotici (dissociati), ma il risultato complessivo sarà sempre un “oggetto casuale soddisfacente” in sé. (Il quale potenzialmente potrebbe anche non richiedere ulteriore “lavoro”).

Il gioco facilita sempre lo scambio tra paziente e terapeuta, rimanendo una sovrapposizione di aree reciproche.

Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it

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