Quel desiderio di non trattenere e di lasciar andare. Riflessioni da Sylvia Plath

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C’è un momento, o meglio diversi momenti nella vita, in cui sentiamo il bisogno di lasciar andare.
I pensieri e sentimenti si accumulano e ci distolgono da quello che veramente siamo e da quella che sappiamo essere la nostra direzione. Verrebbe quasi da dirla con Kavafis, che siamo persi nel chiacchiericcio della vita.
Tutto il rumore che ci si è depositato addosso, e che facciamo fatica a togliere. Soprattutto in un momento come questo, dove le abituali coordinate dell’esistenza, sono alterate a causa della pandemia e di tutto quello che inevitabilmente ne consegue.
Siamo stanchi, e questa stanchezza ci porta lontano dalle nostre radici, come se non potessimo più avere memoria. E questa assenza ne crea un’altra non meno dolorosa. Quello del sentirci soli.
L’altro diventa quindi qualcuno che infastidisce, che non alleggerisce perché è ridotto (suo malgrado, o forse no) a un troppo intollerabile.

La vita non è più armonica, perché a non essere in armonia siamo soprattutto noi con noi non stessi. E siamo soli perché i primi ad abbandonarci siamo proprio noi.

Sappiamo che è giunto il momento di cambiare prospettiva. Cambiare posizione nei confronti della vita. Ma questo non sempre ci riesce, e soprattutto non sempre è possibile.
Il quotidiano sa essere una macchina molto potente e difficilmente arrestabile.
Quello che però non dobbiamo mai dimenticare (e anche questo è il ruolo della memoria) è che abbiamo la forza di cambiare. In un certo senso ne abbiamo il dovere, perché quella ruota ha evidentemente preso una direzione, o una velocità, che non ci appartiene e non ci piace.

Rompere gli schemi, anche in modo piccolo e minuto, può essere l’elemento che rivoluziona questo andamento.

Il troppo, allora, può scivolare via. E la vita ritrova la sua semplicità, e in fondo c’è la reminiscenza di ciò che affermava Borges, che la felicità è sempre semplice.

Si può, solo in quel cambiamento, impercettibile ma eccezionale, ritrovare il contatto, innanzitutto con noi stessi. Con la nostra capacità di andare al ritmo che veramente ci appartiene. Quel ritmo che se rispettato può essere vero concerto con il mondo. Con cui finalmente possiamo riappacificarci, non essendo più singoli, ma elemento dei tanti elementi della natura.

Ritroviamo in noi stessi, e quindi all’esterno e nell’altro, quella luce che pensavamo perduta. Le angosce che svaniscono.
E soprattutto la naturalezza del nostro essere e della nostra essenza.
L’autenticità che spesso non sono gli altri a negare a toglierci, ma siamo noi stessi a negare e rifiutare.

Ritrovare leggerezza, e seguire il desiderio del lasciare andare, è sempre un ritrovarsi e rispettarsi. E’ il coraggio di ammettere la propria natura e la propria essenza.
E’ guardare in faccia la nostra differenza dagli altri, che è si differenza ma anche possibilità di incontro e vicinanza.
Ritrovare la capacità di lasciar andare ci rende un po’ più soli e a contatto con la nostra finitudine,  ma ci dona quella vicinanza a noi stessi senza la quale ci sentiremmo sempre invariabilmente soli.

Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
Cerchi nella notte – Il libro
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
www.casadinchiostro.it


Sono Verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con la radice nel suolo
che succhia minerali e amore materno
per poter brillare di foglie ogni marzo,
e nemmeno sono la bella di un’aiola
che attira la sua parte di Ooh, dipinta di colori stupendi,
ignara di dover presto sfiorire.
In confronto a me, un albero è immortale,
la corolla di un fiore non alta, ma più sorprendente,
e a me manca la longevità dell’uno e l’audacia dell’altra.

Questa notte, sotto l’infinitesima luce delle stelle,
alberi e fiori vanno spargendo i loro freschi profumi.
Cammino in mezzo a loro, ma nessuno mi nota.
A volte penso che è quando dormo
che assomiglio loro più perfettamente-
i pensieri offuscati.
L’essere distesa mi è più naturale.
Allora c’è aperto colloquio tra il cielo e me
e sarò utile quando sarò distesa per sempre:
forse allora gli alberi mi toccheranno e i fiori avranno tempo per me.
Sylvia Plath

 

Immagine di copertina di Amanda Cass
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