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 › Arte e Letteratura › La Lettura come crescita, come fatica, come divertimento (dallo Zibaldone di Leopardi)

La Lettura come crescita, come fatica, come divertimento (dallo Zibaldone di Leopardi)

Francesco Urbani 8 gennaio 2018     Arte e Letteratura

In qualunque cosa tu non cerchi altro che piacere, tu non lo trovi mai: tu non provi altro che noia, e spesso disgusto. Bisogna, per provar piacere in qualunque azione ovvero occupazione, cercarvi qualche altro fine che il piacere stesso.
Così accade nella lettura.
Chi legge un libro (sia il più piacevole e il più bello del mondo) non con altro fine che il diletto, vi si annoia, anzi se ne disgusta, alla seconda pagina. Ma un matematico trova diletto grande a leggere una dimostrazione di geometria, la qual certamente egli non legge per dilettarsi. E forse per questa ragione gli spettacoli e i divertimenti pubblici per se stessi, senza altre circostanze, sono le più terribilmente noiose e fastidiose cose al mondo; perché non hanno altro fine che il piacere; questo solo vi si vuole, questo vi si aspetta; e una cosa da cui si aspetta e si esige piacere (come un debito) non ne da quasi mai: da anzi il contrario.

Il piacere (si può dire con perfettissima verità) non vien mai se non inaspettato; e colà dove noi non lo cerchiamo, non che lo sperassimo. Per questo nel bollore della gioventù, quando l’uomo si precipita col desiderio e colla speranza dietro al piacere, ei non prova che spaventevole e tormentoso disgusto e noia nelle più dilettevoli cose della vita. E non si comincia a provar qualche piacere nel mondo, se non sedato quell’impeto, e cominciata la freddezza, e ridotto l’uomo a curarsi poco e a disperare ormai del piacere.
Simile è in ciò il piacere alla quiete, la quale quanto più si cerca e si desidera per se e da se sola, tanto si trova e si gode meno.
Il desiderio stesso di lei, è necessariamente esclusivo di essa, ed incompatibile seco lei.

Io stesso, che pur non ho maggior piacere che il leggere, anzi ne ho altri, ed in cui il piacer della lettura è tanto più grande, quanto che dalla primissima fanciullezza sono sempre vissuto in questa abitudine (e l’abitudine è quella che fa i piaceri) quando talvolta per ozio, mi sono posto a leggere qualche libro per semplice passatempo, ed a fine solo ed espresso di trovare piacere e dilettarmi; non senza maraviglia e rammarico, ho trovato sempre che non solo io non provava diletto alcuno, ma sentiva noia e disgusto fin dalle prime pagine. E però io andavo cambiando subito libro, senza però nessun frutto; finché disperato, lasciavo la lettura, con timore che ella mi fosse divenuta ispida e dispiacevole per sempre, e di non aver più a trovarci diletto: il quale mi tornava però subito che io lo ripigliava per occupazione, e per modo di studio, e con fin di imparare qualche cosa,o di avanzarmi generalmente nelle cognizioni, senza alcuna mira particolare al diletto. Onde i libri che mi hanno dilettato meno, e che perciò da qualche tempo io non soglio più leggere, sono stati sempre quelli che si chiamano come per proprio nome, dilettevoli e di passatempo.

Tratto da "Zibaldone" di Giacomo Leopardi (pag. 4266, pag 4273)

Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it

Immagine tratta da "The Reader" di S. Daldry, 2008
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Autore: Francesco Urbani

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