La Paura, il Doppio e l’Ombra: un percorso

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Che l’altro (un altro) possa spaventare (infondere una sensazione di spavento e paura) è sempre un’esperienza del tutto personale.
Quel che può spaventare l’uno non è affatto detto che possa necessariamente spaventare l’altro.
E’ lo spavento che si contrappone al confortevole, che non è generato semplicemente dall’incontro con quel che non è familiare. Più che altro è qualcosa che si “scorge” ma che forse resta celato.
Ambiguità di una caratteristica (potenzialità) forse presente, forse no.
Dubbio generato dal non conosciuto, ma intravisto. Si sta parlando sempre di un elemento e non del “tutto”.
Quel che spaventa riguarda sempre “pezzi” o “parti” e mai il globale (lontano dagli aspetti sferici di Sloterdijk).

Il segreto non è più tale, ma affiorato (appena sotto la superficie dell’acqua. Intravisto, mal visto, incompreso, ma apparentemente osservabile).

Si perde il senso di conforto, non c’è protezione, e lo spazio ristretto che era “tana” diventa gabbia, incubo dei pensieri più neri. Sono le angosce di forme di pensiero lontane a tornare al dominio perduto. Pensieri infantili o arcaici, forse archetipici, che si racchiudono nella loro essenza “animistica”.
Forme del pensiero che prevedono caos, confusione o onnipotenza. La mano dell’Invisibile che controlla dall’alto, e che è pronta a muovere le mosse del male e della sofferenza.
Resta l’incognita del colpo. Il dubbio dell’attesa. La certezza nella sospensione.

A qualcuno (che appartiene a qualcosa) viene attribuito un potere (immenso), e si sente di aver perso (inesorabilmente) ogni capacità di assertività (di possibilità).
Qualsiasi legame positivo è impedito. Sterilizzato e reso atrofico.
La violenza dell’altro è il regno di quel che sta per accadere, mentre si è nel buio della cecità immaginativa.

Maligni desideri e credenze, precedentemente obliate da forme e concetti maturi e razionali, emergono da nebbie di cui si era dimenticata l’esistenza. Periferia della nostra storia, delle nostre radici. Del quando fantasia e realtà convivevano nel regno di confini imprecisi.

Si è davanti al “Sosia” del proprio sé stesso dimenticato, radicato di fusione, confusione, diffusione, sdoppiamento, permuta e divisione.

Altro da sé, lontanissimo per quanto vicino (sovrapponibile), distrubo da difesa da annientamento, la parte di un Io Critico che è l’insieme delle possibilità non realizzate, frustrate, deluse o negate.

Ma da dove viene lo spavento?
Ci giunge dal suo essere remoto. Essere qualcosa di antico che ha abitato da sempre nell’indistinto e che se un tempo era stato amichevole, è diventato ora nemico. Laddove le proprie parti erano state amate, ora covano odio e rancore.
Déi mutati in Demoni.

Ci si sente chiusi, come in un girare attorno, senza alcuna via d’uscita. Ripetizione involontaria.
Ostinato ritorno del medesimo, gestito dal dominio di ciò che si percepisce ma che non si riesce chiaramente a vedere.
(Chiaramente si sente, però).
Un vago gioco di ombre.
Il carattere demoniaco della coazione a ripetere degli impulsi, come al tempo dell’essere “infantili”.

Il solo ricordo, il solo odore, di queste modalità, generano un indicibile spavento.
Si avverte, persi nella propria stessa ombra, la presenza di spiriti umani con poteri quasi magici. Animismo primitivo e ritrono del rimosso (apprentemente perduto, se mai si possa “perdere” qualcosa che ci è appartenuto).

I confini sono labili all’interno della sensazione che l’altro, proprio doppio, propria ombra, abbia poteri occulti, che abbiamo (forse) scoperto. Forse un tempo posseduti.
Ora unicamente intravisti, tra la certezza e il dubbio.

Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it

Suggestioni da "il perturbante" di S. Freud, (OSF, IX), 1919, Bollati Boringhieri
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