“L’assenza dondola nell’aria come un batacchio di ferro
martella il mio viso martella
ne sono stordito
corro via l’assenza m’insegue
non posso sfuggirle
le gambe si piegano cado
l’assenza non è tempo né strada
l’assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello più affilato di una spada
più sottile di un capello più affilato di una spada
l’assenza è un ponte fra noi
anche quando
di fronte l’uno all’altra i nostri ginocchi si toccano.”
Nazim Hikmet
Lontano, in esilio. Si rivive la nostalgia, in compagnia delle ombre che stanno vicine all’anima.
Segni di dolore, provocano angoscia.
Lontananza che ha inizio con il sentirsi abbandonati. Senza protezione né rifugio.
Non c’è luogo, anche triste, che offra accoglienza e amore. Si è persi nell’ignoto.
Un mistero percepito come infinito.
Non si conosce, neanche se stessi. Partenza definitiva, nel vissuto dell’abbandono, dalla terra d’origine, da quel luogo chiamato “casa”.
Si vive nella sensazione di immobilità. In uno spazio e un tempo che a fatica si riconosce.
La voce, in questa condizione, sembra non aver alcun suono. Parole mute, avvolte in un silenzio dove nessuno può arrivare.
Solitudine dell’impossibile incontro.
Il mondo, improvvisamente è diventato altro. Irriconoscibile.
Le luci e i colori, seppur presenti, hanno perso la loro potenzialità emotiva.
Il cielo, che un tempo indicava la direzione, ha subito una metamorfosi, trasformandosi in infinita gabbia di estraneità.
Nulla è più familiare. Tutto è distanza, ma il bisogno e il desiderio sono di una disperata (e vitale) intimità.
Francesco Urbani
www.francescourbani.it