Note su Psicoterapia e Falso Sé – Parte Prima

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Quando i traumi dell’infanzia sono sottomessi molto presto all’onnipotenza dell’Io, si può creare una organizzazione “Falso Sé”. Questo si evidenzia in un uso importante della dissociazione, con relativo utilizzo di meccanismi di pensiero arcaico.
In alcuni bambini, che sviluppano prematuramente alcune capacità a causa dei traumi subiti, si può verificare una strutturazione del “Falso Sé”, proprio a causa di dissociazione e scissione.

In tale quadro, tutto ciò che è interiorizzato, lo è in modo rigido, e viene a prevalere un sostanziale atteggiamento non-positivo nei confronti di qualsiasi novità. Queste persone, quindi, tendono a non essere particolarmente curiose, non “sperimentano” molto nella vita, e sono impoverite a livello relazione sia con gli altri che con se stesse.
Anche laddove sono “socialmente adattate” permane un “isolamento emotivo”.
Mostrano apparente dipendenza ma nella realtà pratica sono incapaci nello stabilire relazioni autentiche.

Gli sforzi, nel mondo interno di queste persone, sono tutti rivolti al tenere il più lontano possibile il “caos emotivo” che, non trovando legittimazione all’esterno (figure genitoriali o altro), viene condannato ad un’esistenza silenziosa mediante la scissione.
L’organizzazione che ne deriva è molto potente, tanto da alterare tutte le forme relazionali che la persona può avere nella vita.

A volte, durante la psicoterapia, questi pazienti mostrano (anche se raramente in modo manifesto) il desiderio che l’obiettivo del percorso sia il “bastare a se stessi”. In questo senso diviene allora indispensabile, e imprescindibile, che la persona sia “invitata” dal terapeuta, a pensare “una possibilità di relazione”. Ovvero che il processo terapeutico sia vissuto (e “utilizzato”) come spazio di incontro tra “soggetti”.
Per arrivare a ciò deve esserci un “riconoscimento reciproco”, e che la persona “ponga l’analista fuori dall’area dei fenomeni soggettivi” (interni), per dirla con Winnicott.
Lo “sguardo” del processo terapeutico deve essere rivolto quindi all’esterno, alla realtà.

Il terapeuta, in queste condizioni, è più che mai chiamato ad utilizzare il suo “stile originale e personale”. Solo così vi può essere la neutralizzazione (tramite inefficacia) dei meccanismi che sono alla base di questa organizzazione.

Bisogna sempre, infatti, tenere presente che questa organizzazione “Falso Sé” ha come storia un’importante mancanza di riconoscimento rispetto a bisogni e desideri. Il bambino è stato precocemente costretto ad adattarsi all’ambiente, in modo del tutto passivo. Quindi il caos emotivo (taciuto) è stato dissociato dal vissuto e dall’ambiente.
Questo processo molto doloroso ha però evitato un dolore ancora più grande: quello dell’abbandono e della perdita.
Possiamo dire che, non trovando un “ambiente favorevole”, il bambino ha contribuito (tragicamente) a crearlo (ad un prezzo altissimo, soprattutto sul piano relazionale).

Spesso uno dei canali che, conseguentemente si sviluppa, è l’intellettualizzazione, la quale spiega perché queste persone siano state “bravi bambini”.

Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it

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