L’Altro, la persona che incontriamo, esiste sempre assieme alla totalità delle sue esperienze e dei suoi vissuti. La sola presenza (anche il solo vederlo) ci obbliga a tener conto di questo fatto, e la tendenza per natura è proprio quella di muoverci verso di lui.
Inoltre questo movimento è sempre accompagnato da stupore, meraviglia e sorpresa, con tutta la molteplicità che questi sentimenti hanno: ovvero il timore della novità e l’attrazione della scoperta.
Non si riconosce quindi l’esistenza dell’altro, ma già da questo immediato momento, quello che realmente accade, è il ritrovarsi in una relazione assieme all’altro.
In questo senso, l’inter-dipendenza IO-TU è il cuore della relazione NOI.
Incontrare l’altro è quindi un movimento (e un momento) naturale ma non spontaneo né automatico, essendo fonte di impegno, sforzo e apertura alla conoscenza (che porta con sé sempre il mettersi in gioco e in discussione).
Ci si “studia”, ognuno a partire dalla propria storia e dal proprio vissuto. E questo è il primo passaggio per un incontro autentico, dove l’elemento principale è la conoscenza, e non il possedere o il voler apparire, o addirittura il sedurre narcisisticamente.
Nell’incontro c’è sempre una tendenza oppositiva, che porta le persone ad evitare il “contatto”, e questo perché ognuno tende sempre a non voler perdere la propria comfort-zone, mentre l’altro rappresenta una novità e uno “spaiamento”.
Ognuno tende quindi anche semplicemente ad occuparsi di sé, più che a relazionarsi con l’Altro.
Nell’incontro con l’Altro le emozioni si mescolano e si influenzano reciprocamente, in un invito e una richiesta ad “abbandonarsi” ad esse. Il rischio (o il piacere) dell’essere troppo vicini è sempre facile a verificarsi, e nasconde insidie importanti sia in positivo che in negativo.
Si chiede all’altro di essere compresi, riconosciuti, ascoltati, guardati, e quant’altro: tutte sensazioni che nascono dalla paura di essere fraintesi e mal compresi. Si cerca vicinanza e per questo si temono similitudini, perché gli equilibri nelle relazioni sono sempre instabili e dinamici.
A volte il bisogno è di sentirsi unici, ma non distanti, partendo sempre dal punto che non si sarà mai uguali, perché nessuno è un sosia o un doppio.
Per far crescere la nostra capacità empatica bisogna esercitare l’immaginazione, che è poi la possibilità che risiede in ognuno di noi, di allontanarci dalla realtà ed incontrare il sogno.
E’ l’infinito, che sin da bambini, è vive nell’intimo del Sé e che permette di affrontare le novità, i momenti di difficoltà e anche l’ignoto (che è materia di conoscenza e dialogo con il mistero che è dentro l’Altro).
La possibilità di percepire l’intimità dell’Altro, che è poi il senso profondo del luogo-Noi che è “relazione”, sta proprio in questa capacità creativa e immaginativa, dove possiamo stabilire un contatto, con le fragilità, il mistero, il vuoto, la ricchezza, le risorse, che sempre dimorano nell’essere umano.
Francesco Urbani
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
Immagine tratta dal film "Quasi Amici" di Olivier Nakache e Éric Toledano (2011)