Comprendere la realtà che ci circonda. Appunti dispersi tra la Metamorfosi di Franz Kafka e Wassily Kandinsky

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Un punto in movimento, questo è una linea. Qualcosa di invisibile, diventa visibile, ma non è reale.
La realtà è qualcosa di estremamente piccolo.
Questa realtà, che pensiamo di vedere e che invece così non è, deriva da forze esterne. Elementi che muovono il punto, mostrando uno linea, che di quel punto è il cammino.

Il fatto è che noi cerchiamo di comprendere la realtà che ci circonda, ma è proprio la realtà a disorientarci e a far in modo di non essere compresa.
Limitarsi a pensare che quel che vediamo è la realtà, resta uno dei pericoli più grandi. E soprattutto resta il primo passo per ingannare noi stessi e gli altri.

Quando ci sentiamo persi, lo siamo veramente e lo siamo in base alla relazione che stabiliamo e abbiamo stabilito con gli altri? La domanda, ovviamente non ha risposta perché è una domanda circolare. Un punto che si muove velocissimo e che torna al punto di partenza.
Noi siamo il legame che abbiamo stabilito con gli altri. Lo abbiamo stabilito in base a come siamo fatti, e quel legame però influenza come siamo fatti noi.
Qualcosa che scegliamo (e su questo ci sarebbe molto da dire) finisce per sceglierci e forse determinarci. Quantomeno influenzarci.

Ci sentiamo nel mondo in un modo che il mondo ci chiede di essere, e restiamo quasi sempre convinti di essere quel che vogliamo. Guardiamo attorno con occhio critico gli altri. Una critica che può essere benevola o malevola. E spesso non riusciamo minimamente a fare lo stesso con noi. Non per una incapacità o per ipocrisia, ma semplicemente perché il mondo lo ha fatto già talmente altre volte con noi, che abbiamo semplicemente bisogno di auto-assolverci. Almeno una volta ogni tanto.
Almeno con noi stessi. Anche se stiamo solo peggiorando l’immagine che il mondo ha di noi, e che noi abbiamo del mondo.

Anche questa circolarità, altro che la domanda di cui prima, andrebbe rotta come una delle catene più pesanti che ci tengono ancorati ad un terreno da cui dovremmo liberarci. E che troppo spesso confondiamo per una casa rassicurante.

Ma nella realtà questo cerchio, questo recinto da cui ci sentiamo accolti e di cui conosciamo (solo in apparenza i meccanismi) non è affatto un focolare, ma bensì un incubo mascherato da sogno. Un sogno che non siamo noi a fare, persi nella nostra più buia notte, ma bensì costruito per noi. Da un meccanismo che alimentiamo costantemente ma che nella realtà non è altro che un incubo.

Chiusi in uno spazio, senza spazi reali. Giriamo in un girotondo di apparenze e visioni, in cui il nostro autentico essere è spesso soppresso sull’altare di come il mondo ci vede e come noi (in fin dei conti) ci facciamo vedere dal mondo. Tollerandone, o meglio accettandone, i limiti che altro non sono che imposizioni sul nostro ruolo e la nostra identità all’interno di quel cerchio.

Cosa resta? La possibilità di girare a vuoto, tracciando linee che nascondo una infinità di punti che nessuno scorgerà mai, o essere un punto, quasi invisibile ma che può contare autenticamente su quel “quasi”.

Un infinitesimale aspetto della vita, la propria, con la consapevolezza di essere almeno, anche solo per un giorno, amico di se stesso.
Per la solitudine si vedrà. Potrebbe essere una questione o forse no. La partenza, d’altronde non è che appena un punto.

Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
Cerchi nella notte – Il libro
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
www.casadinchiostro.it

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