Radio Kafka Urbani
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Erano mesi che impostava la sveglia. Alle 7, alle 6.30 o quando era più fortunata alle 8. Dipendeva dai giorni e dagli impegni.
Aveva finito per farlo anche la domenica, in una specie di disciplina che di cui aveva, nel tempo, perso il senso.
Però le piaceva alzarsi ancora assonnata, fare colazione in pigiama e poi leggere qualche pagine del libro del momento. Libri a volte bellissimi, altre volte inutili in cui sapeva che li avrebbe abbandonati in poco tempo. Tanto non le era mai riuscito di finire un libro che non le piacesse.

Però erano stati giorni molto complicati, aveva dormito solo poche ore nelle ultime notti. E quindi si era concessa, per una volta, di non mettere la sveglia. Anche se più di concessione si sarebbe dovuto dire che lo avesse fatto per esigenza.
Praticamente se si fosse svegliata nuovamente presto, senza seguire il suo bisogno di sonno, sapeva che le sarebbe venuta quantomeno la febbre. Perché alla fine sarebbe stato il suo corpo a fermarsi. Sarebbe stato lui a imporre la disciplina.

Benedetta aprì gli occhi. Le coperte ancora addosso, perché era evidente che facesse ancora troppo freddo. Ma almeno per quel che poteva capire, le sembrava che finalmente ci fosse una giornata di sole. Forse tutta la pioggia e il grigio che l’avevano accompagnata in quei giorni, se ne erano andati, e quella sarebbe stata una giornata di luce. Forse.
Almeno il tempo non avrebbe ulteriormente contribuito a renderle ancora più difficile l’umore.

Aveva il volto verso la finestra, le spalle al resto del letto. Non voleva girarsi, sapeva che non Luca non c’era. Non aveva dormito lì, e di sicuro non si era infilato sotto le coperte mentre lei dormiva. Era impossibile, anche perché lui quando era uscito dopo cena aveva lasciato le chiavi sopra il tavolo in cucina, e quindi non sarebbe mai potuto rientrare senza chiamarla per farsi aprire.
Ma in fondo poi Benedetta sapeva perfettamente che lui non sarebbe più tornato. Sapeva che era giusto così, e si chiedeva se era più amareggiata per la fine di quella storia senza senso, oppure perché era stato lui ad avere la forza di chiudere quel rapporto, che lei sapeva non sarebbe mai andato da nessuna parte.

Si ritrovava sola, questo sapeva. E non le andava di dover rifare i conti con la solitudine, quel sentimento che aveva trovato sempre troppo complicato per lei. Quel sentimento che continuamente cercava, ma da cui finiva sempre per sentirsi perseguitata.
Era un sentimento che voleva dominare, come se lei potesse dirgli quando esserci e quando andarsene, e invece si sentiva sempre dominato da lui. Quello spazio bianco che sentiva come una grande potenzialità, ma che quando diventava vuoto la inghiottiva portandola in zone da cui difficilmente riusciva ad uscire. Finendo per aggrapparsi al primo che passava. Fraintendendolo per un salvatore, mentre a volte era e restava solamente un passante.

Anche per questo Benedetta non voleva voltarsi. Vedere quella parte del letto vuota, non le sarebbe affatto piaciuta. Vedere le lenzuola ancora in ordine, mentre dalla sua parte erano solito ammasso confuso, era un’immagine di cui non sentiva proprio l’esigenza.
Restava a guardare il sole che passava dai piccoli fori della tapparella. I raggi che penetravano nella stanza e che finivano per illuminare piccole zone. Sul letto, sul suo corpo.
Immaginava il sole e la luce che finalmente tornavano sulla città.

Restò a letto con quella sensazione, sapeva in fondo che se avesse mai aperto le finestre del suo piccolo appartamento a mansarda, avrebbe visto che all’orizzonte erano già pronte nuove nuvole. La pioggia sarebbe tornata, mentre lei aveva bisogno di immaginare che il sole non se ne sarebbe più andato via.

 

Francesco Urbani
Psicologo-Psicoterapeuta-Supervisore
urbani@casadinchiostro.it
www.francescourbani.it
www.casadinchiostro.it

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