È diventato in qualche modo un imperativo dei nostri tempi, e delle nostre società, quello per cui bisogna sistematicamente (e sempre più velocemente) utilizzare il proprio essere (ed il proprio corpo in particolare) come mezzo di sperimentazione.
L’identità non è più generata, o lo è sempre meno, dall’appartenenza ad uno specifico gruppo (familiare, etnico, sociale), ma da fattori molto più complessi e di difficile individuazione. Ovviamente non necessariamente, questo cambiamento, deve essere interpretato come un male, anzi, nella sua prospettiva di apertura, potrebbe essere visto come elemento positivo. Ciò che per noi è importante, sta nella osservazione critica, e nell’assunzione di responsabilità nei confronti dei possibili effetti collaterali che ogni mutamento può portare in sé.
L’identità è quindi oggi, il risultato (sempre meno stabile) di un giocare con il proprio essere, come se fosse uno dei tanti sport estremi che comunemente si praticano. E ciò riguarda non alcune aree, ma tutti gli aspetti del proprio sviluppo.
Aree che vengono coinvolte in questa sperimentazione e che può riguardare tanto il colore dei capelli, quanto le scelte professionali o l’orientamento sessuale.
La vita, lo stare al mondo, e conseguentemente anche il corpo che lo abita, diventano oggetto di sperimentazione continua, in un interminabile gioco di “ri-designazione del Sé”. Alimentato dalla contemporaneità che, rapidamente, offre una vasta gamma di stili di vita, tutti affascinanti e tutti facilmente a disposizione. Almeno in apparenza.
Quel che non appare immediatamente, e che anzi resta pericolosamente nascosto, sta nel fatto che in tutte queste dimensioni (che possono anche sembrare positive con il loro aspetto di apertura), vi è il continuo bisogno di eccitazione.
Ed è a questo punto che la sperimentazione cessa di essere una scelta e diviene solo una dipendenza finalizzata ad appagare la necessità di “continui nuovi stimoli”. Perdendo, in tal modo, la caratteristica di “possibilità” e facendo subentrare un imperativo per cui una vita senza sperimentazioni, non merita di essere vissuta, in quanto mediocre e banale.
Tutto ciò comporta l’emergere dell’idea irrigidita che è valida solo una vita di sperimentazioni, e non quelle che “stanno in un percorso”, e che sono capaci di soffermarsi, o di approfondire lo spessore di un discorso.
Se non si sperimenta, si sente di aver perso una qualche fondamentale occasione, con la penosa conseguenza di percepirsi dei condannati alla mediocrità eterna.
Tutto diventa come se solo nella sperimentazione (e quindi nella continua ricerca di nuovi stimoli ed eccitazioni), si conquisti quel “potere” necessario a non sentirsi “sottomessi” dall’esistenza.
Ritrovandosi, però, incapaci di costruire un dialogo con la realtà, nell’ambito di un progetto costruttivo, che sappia guardare al futuro con profondità e leggerezza, e non con semplice superficialità.
Francesco Urbani
www.francescourbani.it
Suggestioni bibliografiche
Turkle S., La conversazione necessaria, Einaudi
Kahn M.R., Lo spazio privato del Sé, Bollati Boringhieri
Sloterdijk P., Il capitalismo divino, Mimesis
Han B., Nello sciame, Nottetempo
Tamaki S., Hikikomori, Univ of Minnesota press